OZIO – NEGOZIO - OZIO La scritta sull’insegna illuminata della lunetta è inequivocabile: NEGOZIO. Grandi lettere nere che si stagliano sullo sfondo retroilluminato: nessuna concessione al decorativismo né a piacevolezze postmoderne: NEGOZIO semplicemente denota. Definisce l’attività commerciale che si svolge nel locale sottostante, senza indicare di quale merce si tratti. Ed è il particolare tipo di merce scambiata a creare un certo disagio rispetto all’insegna: non si tratta propriamente di semplici oggetti di vendita ma di opere d’arte. Giancarlo Norese è un artista scaltro, a volte perfino scomodo, che opera in sordina – quasi “senza fare nulla” – creando contraddizioni ed evidenziando paradossi nel nostro sistema di valori e, con semplici gesti di appropriazione, dislocazione e contrapposizione, mette in atto dei dispositivi che scardinano le abitudini e le conoscenze date per scontate suggerendo inediti punti di vista e altri livelli di senso nell’apparente linearità del reale. L’interventismo minimale (ma mai minimalista) di Norese si colloca in una soglia tra lo straordinario e il consueto e agisce quasi a tradimento, anche contro se stesso, facendosi portatore di una critica al sistema dell’arte e al concetto di opera. Scegliendo di apporre semplicemente un’insegna con la parola NEGOZIO, determina uno spostamento di senso che impone riflessioni di notevole importanza. L’arte è semplice merce? Qual è l’imbarazzante distanza che si dà per comunemente scontata tra la produzione di oggetti e la creazione estetica? La domanda pone la questione della legittimità della mercificazione artistico-culturale contrapposta alla libera attività creativa non finalizzata, che è stata progressivamente erosa riducendo, fino ad azzerare, la distanza tra l’artigiano e l’artista, sussumendo entrambi nell’etica del lavoro e del profitto. L’arte e la cultura trasformate in merce e investimento finanziario sono diventate strumentali al controllo, annullandone le potenzialità liberatorie. Norese lancia dunque una provocazione fondamentalmente politica: otium versus negotium. La tradizione classica ci ha lasciato in eredità la nozione di ozio nella sua accezione positiva di occupazione dedicata alla ricerca intellettuale – attività umana d’elezione – opposta a quella del lavoro alienante unicamente orientato al profitto. Bisogna uscire dal negotium, spostando il pensiero creativo fuori dalla logica della produzione-consumo. Ritornare all’ozio, sottraendosi all’efficienza e sostituendo alla progettualità finalizzata al mercato e al successo l’azione insensata, ai margini del fallimento, irrazionalmente dispersiva ed energeticamente dispendiosa che basta a se stessa. Una prassi creativa che entra nella vita, trascende il proprio ruolo, supera l’arte stessa in una dimensione di condivisione intellettuale, emozionale e conoscitiva. Ozio–negozio–ozio. Rossella Moratto